sabato 25 agosto 2018

Macomer

Il primo libro che ho letto sulla Sardegna me lo prestò uno zio alla fine degli anni ‘70. 
Forse è proprio questo libro che mi ha insegnato a viaggiare in Sardegna. 
Oggi ne ho ritrovato una versione digitale in rete che ho immediatamente scaricato, contento come se avessi trovato un piccolo tesoro. 
E’ un libro di un francese, Gaston Vuillier (1846-1915), ritrattista francese molto conosciuto e amato, che illustra opere di Chateubriand e di Mérimée, saggista e collaboratore di diverse riviste, per una delle quali - il "Journal de voyages".
Vuillier compie un viaggio nelle Baleari, in Corsica e in Sardegna, scrivendo vari servizi che raccoglierà in un libro, intitolato “Les îles oubliées: les Baléares, la Corse et la Sardaigne, impressions de voyage”, Paris, Hachette, 1893. 
In italiano tradotto con il titolo “Le isole dimenticate la Sardegna impressioni di viaggio”, per la parte che riguarda la Sardegna. 
Scrive Vuillier:
"La Sardegna fu una visione abbacinante: in questa terra sconosciuta agli Italiani medesimi, dove i costumi d'altri tempi hanno conservato la loro originale bellezza conobbi da vicino, familiarmente, il farsetto di velluto, ed il medioevo trascorse ogni giorno al mio fianco, come se il mondo non avesse ruotato per quattro o cinque secoli". 

Con queste parole, tratte dalla nota al lettore, Vuillier anticipa la sua scrittura visiva, icastica, dove le sue attitudini e qualità di pittore passano per osmosi alla penna, in un libro ricco di caratterizzazioni, di immagini forti, di colori. Immagini vive, arricchite da sessantotto incisioni.
Giunge a Porto Torres e quando, dopo una tempesta in mare vede per la prima volta le coste isolane, affida le sue sensazioni a un acquerello: 
"Il cielo si colorò di rosa pallido e sagome di montagne si dipinsero davanti a noi. Questa è la Sardegna". 
Poi però annota che il primo paese che visita è "triste e povero, con case basse, dove si vedono errare bambini smunti, e il suo porto pare uno stagno". 
Vuillier descrive anche le città: Sassari, "l'incantevole", Alghero, dove ha "la piena illusione della Catalogna", e una Cagliari ventosa, nella quale si anima nel visitare Castello e la cattedrale, descritta accuratamente negli interni. 
La “scoperta” della Sardegna dura poco più di un secolo, dagli ultimi decenni del Settecento alla fine dell’Ottocento, sono arrivato tardi. 
Si conclude proprio con Gaston Vuillier ed il suo “Les îles oubliées: Les Baléares, la Corse et la Sardaigne”. 
Dopo, i viaggi usciranno dallo schema dell’informazione, seppure illeggiadrita talvolta da interpretazioni sentimentali e colorazioni poetiche, ed ispireranno opere più decisamente letterarie, come Sea and Sardiniadi David Herbert Lawrence, 1921 e “Sardegna come un’infanzia” di Elio Vittorini, 1936. 
Quella delle acque morte (paludi e stagni) è una vera ossessione per Vuillier, che vede nella malaria la causa della cappa di povertà che opprime l'isola, devastando la salute dei suoi abitanti e divenendo il simbolo di un oblio antico, che gli antichi dominatori hanno tra loro perpetrato e che ora continua con lo Stato unitario, che nei mesi del suo viaggio ha vita ormai trentennale. 
Ne propongo un piccolo brano dedicato a Macomer dove ho fatto il militare d’inverno, nel 1983-84, assaggiandone il clima direttamente sulla mia pelle.
Da questo brano si coglie bene quest’aspetto che, a tratti, oscura i colori delle sue pagine, che si accendono specialmente nelle descrizioni della natura, delle foreste ancora folte e numerose, dei costumi colorati dei paesi. 



MACOMER
All’estremità di quest’altopiano che i sardi coltivano,  bene o male, fra i blocchi di roccia, Macomer guarda dall’alto dei suoi basalti; si vede il declivio delle colline, la  pianura senza confini e, da lungi, il Gennargentu, cima  bianca di neve nell’immensità della terra e del cielo.  
Macomer, antico borgo fatto di frantumi di lava, s’èrannicchiata su una terra talmente aspra e rude, che gli  alberi non osano aggrapparvisi.  
Intorno all’ammasso delle sue basse dimore non si ha  sotto gli occhi che nuraghi in rovina, tombe di giganti, altopiani deserti, piane desolate, dalle quali svettano l’arido  monte Santo Padreed il tetro Lussurghi. 
In fondo alla  pianura delimitata da contrafforti elevati, il gigante della  Sardegna, il Gennargentu, alza maestosamente la sua  fronte calva spesso argentata dalla neve, e quasi sempre  coronata da nubi.  
I venti fischiano in ogni stagione, urlano e singhiozzano intorno a Macomer, che il maestrale maledetto esaspera per settimane e settimane ancora.  
Poi, quando quest’uragano si placa, arriva il sole, che  arde i basalti; dopo di che, dal surriscaldamento delle paludi, degli stagni, dei fiumi, nasce una pericolosa febbre.   
L’autunno, lo vedo, sferza questo triste suolo con piogge glaciali. Da queste colline assisto ora a corse scapigliatedella bruma.  
È proprio il cupo paesaggio che conveniva a lunghe  lotte, dopo la disfatta in cui soccombette la libertà dei Sardi.  
«Il nostro clima non è malsano», dice la gente di qui;  «ma a condizione di evitare le infreddature».  
Tuttavia, numerosi fra i Macomeresi muoiono di polmonite o di febbri reumatiche, aventi una duplice causa:  prima, il passaggio improvviso dal caldo al freddo, poi  l’avvelenamento miasmatico.   

sabato 11 agosto 2018

Emozioni Virtuali – Che il reale sia con voi …

Dobbiamo riconoscere che queste emozioni virtuali sono estremamente volatili e poco finalizzate a generare ricadute nel reale, quello che provocano sono solo illusioni, automistificazioni di noi, degli altri con cui telematicamente interagiamo e del nostro stesso agire. 
Questo potrebbe toglierci il tempo e le energie per vivere il reale con la dovuta profondità che merita, sfuggendolo per trovare rifugio nell’ovattato, appagante, mondo virtuale dove meno si soffre o meno si è derisi.
Nel virtuale si cerca spesso conforto alla propria solitudine (di tanti tipi diversi), siamo quindi nel virtuale alla ricerca di un antidoto (Amicizia? Amore? Sesso?) che allo stesso tempo evitiamo accuratamente perché sappiamo che questo stesso antidoto può generare sofferenza e quotidianità, che solitamente è la base di partenza dalla quale fuggiamo per emozionarci.
Infatti evitiamo la sofferenza creandoci innumerevoli emozioni virtuali, consapevoli che queste emozioni sono intense e veloci, per questo possono e preservarci dal dolore.
Intensità e durata sono attributi dell’emozione che sembrerebbero essere posti in rapporto inverso; come in un principio di indeterminazione quantistico che correla energia e tempo di un evento fisico, affermando: che più è l’intensità dell’emozione minore sarà la sua durata e viceversa.
L'emozione è facile sia amplificata nel virtuale e, conseguentemente, nello stesso momento in la viviamo si è già consumata, dissolta, frantumata.
Da questi frammenti d’emozione, in modo compulsivo, data la fugacità dell’emozione vissuta, dobbiamo passare a cercare quella successiva, ricercandola per non pensare alla nostra vita che non è quella che vorremmo. 
Per non pensare alla nostra solitudine.
All’inizio del primo blog mi si palesa un lancinante dubbio: può essere che con la mia modernità ed ironia, ampiamente impiegate nel virtuale, io rifugga dall’essere romantico nel reale, rifiutandomi di pensare alla mia solitudine, per inseguire amplificate emozioni/illusioni?
Ho fugato il dubbio, il virtuale mi è servino solo a rinnovare e rifondare il mio reale.
Che il reale sia con voi …

venerdì 10 agosto 2018

Emozioni Virtuali – Lancinante Dubbio

Date queste premesse, radicate in me come certezze, capirete il mio sgomento quando in un Post ho letto:
Noi esseri moderni ci nascondiamo dietro la maschera dell'ironia per non lasciarci andare al romanticismo per paura di essere derisi o di soffrire.
L'ironia ci permette di preservarci dal dolore ma se continueremo a vivere preservandoci ci ritroveremo ad essere umani senza cuore, senza umanità e senza passato.
Navigando nel web raccogliamo soltanto innumerevoli emozioni che non portano a nulla permettendoci soltanto di proseguire la nostra vita senza la profondità che ci spetta.
C’è la modernità e l’ironia che si contrappongono all’essere romantico, la voglia di fuggire il dolore, ma a che prezzo! 

Una riflessione finale sul rapporto tra virtuale e reale che è come una frustata cognitiva!
Effettivamente il romantico confligge con il vivere moderno, questo potrebbe facilmente provocare derisione, di conseguenza dolore. 
L’ironia come antidoto al dolore non mi convince del tutto, penserei di più al cinismo, sentimento che non mi appartiene.
La riflessione finale la sottoscrivo appieno: il virtuale regala emozioni, gratificazioni, così facendo trattenendoci al suo interno, rischiando di allontanarci dal reale. 


giovedì 9 agosto 2018

Emozioni Virtuali – Non essere romantico

Mai ho ritenuto di essere romantico. 
Per essere più chiaro elenco quelle azioni che non compio mai nei confronti di una donna, solitamente ritenute elementi fondanti di un comportamento romantico:
o  firmare lettere a lei indirizzate on frasi come "per l'eternità e ancora di più";
o  prometterle di essere il suo principe azzurro, o di essere per lei il solo ed unico;
o  coprirle gli occhi per farle una sorpresa;
o  farle fare un giro in gondola a Venezia o in carrozzella a Roma;
o  regalarle un vino d'annata imbottigliato l’anno della sua nascita;
o  organizzare una "perfetta" (secondo la sua definizione) giornata insieme;
o  comprarle fiori, cioccolatini, pezzetti di vetro sbrilluccicanti fatti di carbonio;
o  esprimerle cosa apprezzo in lei;
o  dirle “sei unica”, o “sempre di più mi stupisci …”, o "ti amo";
o  ascoltarla incantato ammutolendo alle sue parole (del resto sono un logorroico).


Non solo non sono romantico nel senso sopra esemplificato, che potremmo definire dei baci perugina (espressione non mia della quale mi sono appropriato), ma non sono romantico nemmeno secondo il meta concetto che i baci sovrasta, quel concetto astratto che il romanticismo è divenuto oggi.


mercoledì 8 agosto 2018

Emozioni Virtuali – Essere moderno

Penso di essere moderno, nel senso di non legato ai vincoli conservativi tipici della tradizione, del cerimonialismo, del formalismo, dell’educazione, del pensiero rigidamente propagato e per questo dogmatico. 
Definirei il mio modo di pensare l’esercizio di un pensiero laterale, che, grazie all’osservazione del particolare ed all’analogia, cerca di trovare contaminazioni tra contesti i più disparati e sconnessi. 
Nel far questo magari riesco anche ad esprimere una certa creatività non tanto nel generare idee originali, ma più spesso e semplicemente nell’accostare in maniera inedita idee altrui nate separatamente per scopi distanti da quello in cui mi trovo a riutilizzarle. 
Difficilmente parto da un foglio bianco, convinto che molti altri, prima di me e meglio di me, possano già aver riflettuto su un tema. 
Per questo il primo approccio rispetto ad una riflessione per me inedita su un tema è la ricerca e l’analisi del già da altri pensato.
Delle loro idee mi approprio, non per plagiarle ma piuttosto per riusarle, esprimendo la mia creatività proprio nell’accostarne di diverse, nel riusarle estrapolandole, interpolandole, correlandole.
Pago il mio debito nei confronti delle idee altrui da me metabolizzate, non tanto producendomi in citazioni attente delle fonti, quanto nella ridistribuzione del mio pensato, affinché chiunque possa fare con le mie idee quello che io faccio con quelle che cerco e in cui mi imbatto.


martedì 7 agosto 2018

Emozioni Virtuali – Ironico

Razzolando per i Blog mi sono imbattuto in qualche frase che mi ha dato da pensare riguardo al mio modo d’essere, ironico e moderno, o non essere, romantico.

Essere ironico
Mi piace l’ironia e per traslato le persone ironiche, nel raccontare di qualcosa aggiungo all’ironia anche un pizzico di dissacrazione, infine sono molto autoironico anche nel parlare di me stesso.

Non ho mai pensato che quest’uso dell’ironia servisse a nascondere qualcosa del mio essere. 
Piuttosto quando la applico a me stesso, un approccio ironico mi offre il vantaggio di poter evidenziare una carenza o un difetto, ponendoli in un modo che, se non riesce a trasformarli in una virtù, almeno ne stempera la negatività dell’impatto.


lunedì 6 agosto 2018

Sono uno spazzino di parole

Le parole che seguono mi piacciono.
Sono la traduzione e il rimaneggiamento di parole che m’arrivano dall’altra parte del mondo, che riecheggiano dal lontano Sud Africa.
Sono di Ian McCallum, psichiatra e poeta.

Mi danno un senso d’appartenenza.
Mi legittimano …
Come animale predatore,
la cui fame dilaniante mi rende spazzino di parole altrui.


Sono uno spazzino di parole,
specialista in versi rubati,
ladro di carne parlata.

Pirata di sapida prosa,
quel che prendo in prestito, mi tengo.

Affamato di parole,
non c’è verbo che non sappia mordere fino all’osso.

Scavando tane tra i versi
scrocco ritagli da ogni scritto …

Ogni virgola, ogni segno di due punti è una sosta nel pasto, 
ogni lineetta una breccia aperta per rubare o scampare,
ogni vocale una pozza d’acqua.

Scippatore di frasi condite,
sparpaglio parole come carcasse
solo per tornare a visitarle …

Con le parole c’è sempre qualcosa
a cui tornare, qualcosa da rimasticare.

Una sillaba qui, una consonante là …
Qualcosa da fiutare, seppellire, sezionare,
Qualcosa da risuscitare.

Randagio di materia rubata,
di parole faccio incetta e banchetto …

Come: feroce, santo, selvatico, sacro, 
spargimento medicamentoso … fame.



Ad altre parole, sempre dello stesso autore,
spero d’avere la forza, voglio attenermi,
nel gestire il mio …
disfacimento



Hai fatto tutta questa strada …
continua ad andare … 
Non tornare sui tuoi passi.

Nessuno detiene la misura
della propria disfatta … 
Nessuno il senso del proprio morire.

Serba quel che vive
dietro le maschere
che hai costruito …

La musica del tuo nome selvaggio,
la sapienza che ogni inciampo,
ogni svolta sulla via tortuosa
è una danza in seno all'Universo 

Un santuario di stelle
ali, alito ed ossa,
dove le maschere di tua creazione
sono disfatte

domenica 5 agosto 2018

E’ tornato il folletto, per farmi viaggiare indietro nel tempo! – Ci sono andato 2018

Ci sono tornato questo 19 luglio 2018

DCi sono andato anche questo 19 luglio 2018, diversamente da Gerald, non sarei potuto diventare un:
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oun commesso di negozio;
oun prete;
oun soldato;
oun omosessuale;
oun tycoon della finanza. 

Proprio come Gerald, sarei potuto diventare un:
oun barman dietro al bancone di un bar;
oun insegnante di filosofia in un liceo;
oun fisico teorico impegnato nella teoria delle stringhe;
oun inveterato single, senza figli, pieno di amicizie sessuate;
oun Amministratore Delegato di una società di informatica;

Non sono diventato nulla di ciò.
Ma almeno oggi so come è andata a finire.


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sabato 4 agosto 2018

E’ tornato il folletto, per farmi viaggiare indietro nel tempo! – Ci sono andato 2012



Il 3 dicembre 2012 Ian Anderson ha eseguito in concerto i due album, originale e sequel, uno in coda all'altro, in un tour mondiale passato quel giorno anche per Roma. 
Stavolta ho acquistato un regolare biglietto.
Ci sono andato.
Ci sono andato per il ragazzo senza biglietto che ha sfondato al Brancaccio nel 1971.
Ci sono andato per lo studente squattrinato che ha investito 3.500 lire in Thick as a brick nel 1972.
Ci sono andato per il folletto, che sprizza incontenibile energia anche a 65 anni..
Ci sono andato per viaggiare nel tempo.
Ci sono andato per la passione e l’emozione per la musica che ascolto da 40 anni, la colonna sonora della vita dell’uomo di mezza età che sono diventato, sospeso tra di Gerald Bostock, che ha sei anni meno di me, e Ian Anderson, che ne ha 11 di più.
Ci sono andato per mia figlia, figlia della generazione di Internet, che deve ancora iniziare a valutare la miriade di possibilità che le si offrono ad ogni svolta.   
Ci sono andato soprattutto perché, come Gerald, potrei chiedermi: 
"Cosa sarebbe stato di me se ...".


venerdì 3 agosto 2018

E’ tornato il folletto, per farmi viaggiare indietro nel tempo! – Ancora rock progressive

Preso dalla volontà di dare un seguito a Thick as a brick, proprio in occasione del suo quarantennale, Ian Anderson si è ritrovato a metter mano ad un nuovo tassello nella storia del rock progressivo: 
"Se qualcuno mi avesse suggerito di fare un concept album progressive nel 2012 l'avrei preso per pazzo, eppure è proprio quello che è successo".
Tutto grazie all'opera di convincimento condotta su di lui da un discografico, Derek Shulman, cantante e fondatore dei Gentle Giant , anche questo gruppo rappresentante del rok progressivo inglese degli anni ’70, che ha detto:
"So bene che questi testi concettuali e affatto leggeri potrebbero risultare per molti fuori posto nel mondo distratto che viviamo oggi, ma essendo stato in tour nel 2010 e nel 2011 in Italia, nell'America Latina e in Australia e in altri paesi in cui la passione vola ancora alta, ho deciso che forse il mondo, o piccoli angoli di esso, possono essere pronti  per una vivanda più sostanziosa".